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Come i ristoranti possono innovare in un “nuovo mercato” (una strada valida anche per altri settori)

Oggi, 26 Aprile, l'Italia riparte... o almeno ci prova. Lo fa anche e soprattutto dai ristoranti, settore tradizionalmente cardine dell'economia e tra i più colpiti dalla pandemia. 

5,4 milioni di italiani iniziavano la propria giornata al bar, una persona su tre pranzava ogni giorno fuori casa, quasi tutti eravamo soliti andare al ristorante almeno qualche giorno a settimana ma quasi sempre nel weekend.
Se c’è una cosa su cui poter scommettere, diceva la saggezza popolare, è che le persone devono mangiare. Intuizioni supportate dalle statistiche: in linea con le tendenze europee, anche nel nostro paese a partire dal 2014 si è registrata una crescita progressiva della spesa e le previsioni indicavano un ulteriore e consistente aumento almeno sino al 2024.
I numeri invece hanno un segno tutt’altro che positivo: già nel 2020 le perdite sono state di 37,7 miliardi di euro, circa il 40% dell'intero fatturato annuo del settore andato in fumo. Per il 2021 purtroppo siamo sulla buona strada.
L’immagine della pandemia potrebbe essere questa: ristoranti chiusi, ristoranti in crisi, ristoranti chiamati a reimmaginare un modo completamente nuovo di fare affari per non soccombere.
Come tutti d’altronde, ma il settore della ristorazione, per vari motivi, è quello che di sicuro ha incontrato la pandemia in maniera più impattante, cogliendo davvero tutte le criticità e le paure del momento.

In questo articolo proviamo a indicare come si possa ripartire in questo settore, come si possa e debba innovare in momento e in un contesto straordinario. Anche se il focus è sul settore della ristorazione, le logiche sono replicabili in quasi tutti i settori, specie per professionisti e PMI.

Desiderabilità, fattibilità, redditività: cosa conta adesso

In un mondo normale, quando siamo chiamati a immaginare un nuovo business siamo tutti abituati a chiederci se innanzitutto c’è qualcuno che desidera davvero ciò che offriamo. È un esercizio codificato che anche il peggiore degli aspiranti imprenditori è portato naturalmente a fare. Oppure anche parlando con amici del proprio progetto, qualcuno con una domanda intelligente - “ma le persone stanno cercando questo?/ Lo comprerebbero?” - salta fuori sempre.
In maniera più strategica, come siamo soliti fare ad esempio nel Business Design, c’è proprio una fase dedicata a scoprirlo, la Customer Discovery, dove non solo ci si chiede e si testa se qualcuno desidera ciò che abbiamo da offrire ma si esplora anche chi - segmento di clientela - e cosa davvero sta cercando, come vorrebbe riceverlo, cosa è disposto a pagare, e soprattutto per quale compito, come prescrive la Jobs Theory, “assumerebbe” quel prodotto o servizio.
In altre parole, che si segua un approccio intuitivo o un vero processo, la regola è una: parti dal cliente.
Oggi però non viviamo affatto in un mondo normale, lottiamo ancora per “una nuova normalità”, e partire dal cliente potrebbe non essere la scelta più efficiente.

Più che di desiderabilità è innanzitutto necessario ragionare e fare i conti con i vincoli, con il contesto. Con la fattibilità.
È fattibile?
Data la situazione, dati i vincoli - chiusure, divieti, riduzione della capienza in sala anche quando come pare verrà consentito tornare a pranzare e cenare nei locali - è fattibile portare avanti in un certo modo il proprio business?

Anche in questo caso può partire da qui un processo di analisi, brainstorming e scoperta. Ma data la situazione complessa e straordinaria, questo si rivelerebbe un esercizio poco efficiente e molto dispendioso.
Ciò che invece ci sentiamo di suggerire, a un ristorante ma non solo, è trasformare la domanda in modo più veloce e pragmatico possibile. Andare dritti al punto e chiedersi: è stato fatto? Cosa è stato fatto? Cosa ha funzionato e sta funzionando? Qual è stata la logica che lo ha fatto funzionare?

Da concorrenti ad alleati: come cambia il ruolo dei competitor in pandemia

Anche qui è necessaria un’introduzione, evidenziare le differenze tra un mercato normale e quello pandemico che stiamo affrontando.
In tempi normali, scopo di ogni impresa è differenziarsi. Trovare bisogni insoddisfatti o parzialmente insoddisfatti, colmare lacune, cogliere modi diversi per aumentare il valore e valore percepito del cliente - lavorando come dicevamo sulla desiderabilità.
In questi casi, quando si pensa ai competitor lo si fa quasi sempre in modo per così dire negativo: cosa non stanno facendo i nostri competitor? Chi stanno ignorando? Chi stanno accontentando solo parzialmente? Chi sono i loro clienti insoddisfatti?
Oppure, un buon modo per differenziarsi e creare valore è quello di uscire completamente dalla bolla e lasciarsi ispirare da settori completamente diversi.
Proponiamo ad esempio di lavorare cercando di immaginare come logiche di successo di altri settori possano essere implementate nel nostro. È un percorso ben preciso che abbiamo illustrato nella Masterclass Hackerare i Modelli di Business: le logiche alla base dei modelli di business non sono infinite ma ricorrenti, per cui è possibile non solo comprenderle ma anche replicarle.
In questo caso però, se dobbiamo rispondere in maniera tempestiva e rispondere innanzitutto a principi di fattibilità, dobbiamo esplorare non tanto ciò che succede fuori dal nostro settore per sorprendere il mercato, quanto cercare di capire cosa sta succedendo all’interno per seguirne le tendenze e replicarne gli effetti.
Se in un momento normale una buona idea per un ristorante potrebbe essere “netflixizzare” la propria offerta, includendo ad esempio abbonamenti flat, oggi è molto più utile guardare ai propri concorrenti come degli alleati: capire insieme come il settore possa avere continuità e ripartire.

“Forse con la carbonara non funziona”: cosa sta succedendo nel settore della ristorazione, cosa funziona e cosa vale la pena replicare

Martin Lindstrom è stato probabilmente il primo e più autorevole pensatore ed esperto di innovazione a riflettere sulla pandemia e le nuove dinamiche del business. Nel suo libro “Adesso” ha raccontato proprio uno dei modi originali con cui la ristorazione ha cercato di rispondere al distanziamento e alla chiusura.

“A Sydney, in Australia, Paula Toppi e suo marito hanno chiamato la loro rete di fornitori e hanno quasi immediatamente convertito Bar / M, il loro ristorante italiano, in un grande supermercato italiano. Ma non si sono fermati lì. Tenendo bene a mente il purpose del loro brand, si sono resi conto che in realtà quel che facevano era vendere esperienze e momenti speciali, non solo cibo e bevande. E così hanno introdotto un menu di cocktail da asporto con nomi esaltanti come “Instant Happiness” e “Keep distance – this is mine”. Hanno dato speranza alla comunità. Il passo successivo è stato il lancio di cocktail “fai da te” venduti insieme a un set completo di attrezzature per baristi in miniatura. Poi hanno proposto un’altra invenzione: un menu di specialità diverse ogni giorno, che confortano le persone isolate grazie a nuove ispirazioni quotidiane.”

Una logica che è stata seguita in modo più o meno simile anche da tantissimi altri imprenditori nel mondo. Una sorta di “se Maometto non va alla montagna…” in chiave imprenditoriale.
Con la stessa filosofia, tantissimi sono coloro che hanno iniziato a diffondere tutorial su come cucinare e impiattare, fornendo a volte solo un supporto emotivo, rinforzando il valore del brand, ma anche servizi aggiuntivi per valorizzare e vendere i propri prodotti.
Il passo più deciso, al di là del tentativo di ricreare a domicilio l’esperienza, è chiaramente quello della consegna a casa, del food delivery, tendenza naturalmente esplosa durante i vari lockdown.
Ne parliamo tra poco in maniera più approfondita, ma prima è utile riflettere su ciò che ha portato la famiglia Toppi a muoversi in questa direzione.
Risposta: non tanto la desiderabilità ma la fattibilità.

Al di là della spinta valoriale - diffondere felicità - alla base dell’idea vi è un ragionamento molto semplice e concreto. Se hai un cocktail bar, reimmaginare la tua attività in ottica delivering presenta più di un problema:
- difficoltà logistiche: consegnare cocktail che spesso necessitano di ghiaccio e bicchieri speciali è difficoltoso se non impossibile.
- di valore: se il cocktail è un rito, le persone potrebbero non essere così disposte a spendere per bere a casa da sole.
- ancora logistiche: se un cocktail è spesso un insieme di ingredienti ed esperienza, pensiamo ad esempio alle guarnizioni, diventa quasi impossibile poterlo trasportare e consegnare.

Da qui, seguendo una logica mirata innanzitutto alla fattibilità: se non possiamo consegnarlo pronto, forse possiamo consegnare ciò che serve per farlo finalizzare al cliente (quasi un’Ikea della ristorazione!)

Non bisogna però guardare necessariamente fuori per scorgere questo tipo di idee e intuizioni e l’innovazione, come amiamo ripetere, non nasce soltanto nella Silicon Valley.

A Roma ad esempio c’è un caso davvero interessante che varrebbe la pena di studiare e analizzare a fondo.
Il Dumpling Bar, la ravioleria cinese di Gianni Catani, aperta quattro anni fa a Roma, era già balzata agli occhi della critica per l’originalità dell’idea e la bontà dei piatti. In pandemia è diventata un esempio di grande innovazione.

Per prima cosa, ragionando sulle peculiarità del piatto, si è pensato non a una consegna ma a un “nuovo prodotto”: piatti consegnati cotti al 95%, mentre bastano 30 secondi in acqua bollente o trenta secondi al vapore per finalizzare a casa il piatto e poterlo gustare valorizzandone al massimo il gusto.
Ma anche la possibilità di acquistare cestini di cottura per cuocerli al meglio e un sistema di consegna totalmente interno: senza appoggiarsi a compagnie esterne riesce a mantenere massima efficienza nelle consegne e allo stesso tempo a non disperdere margini sull’intermediazione. In questo modo il Dumpling Bar consegna oggi ben 3000 piatti al giorno, un vero esempio di resilienza e innovazione a cui guardare.
Intervistato da Huffington Post, lo chef e imprenditore Catani si è detto convinto che questo possa essere un’idea valida per il futuro della ristorazione. Ma anche di non essere sicuro possa essere perfettamente replicabile da tutti: “Ho il dubbio che non vada bene per la pasta alla carbonara!”

Quella che pare una battuta indica la strada da seguire: guardarsi intorno, scoprire cosa ha funzionato e cosa sta funzionando, comprendere se anche nel nostro settore e per i nostri prodotti e servizi è altrettanto fattibile.

Più che inventare, mai come oggi è necessario scoprire, adattare e replicare.

 Di ristorazione ne abbiamo discusso ampiamente anche all’interno della Business Design Academy. All’interno della Business Design Challenge che ogni mese portiamo avanti, sono stati infatti analizzati i settori che più hanno sofferto la pandemia e le sue conseguenze. Tra i lavori presentati e i Modelli di Business alternativi suggeriti, a vincere è stato proprio il gruppo che ha lavorato sul settore della ristorazione, adducendo soluzioni molto simili a quelle presentate sopra. Complimenti a: Agnese Gervasi, Biagio Levrini e Laura Milani, i Business Designer vincitori della challenge. All’interno della Business Design Academy è possibile visionare i Modelli di Business mappati e suggeriti.

Al di là dei primati di tempo - chi ha avuto per primo una determinata idea - ad esempio anche le due innovazioni raccontate sopra sono oggi particolarmente diffuse.
Il settore dei cocktail a domicilio ha visto la nascita del cocktail brewery dove l’apripista può essere considerato il Wandering Barman di Brooklin, già attivo nella creazione di cocktail artigianali che in pandemia ha virato per modalità di consegna simili a quelli intrapresi dalla famiglia Toppi. Rimanendo in Italia, sul tema, va registrata l’idea nata ancora prima della pandemia di NIO: cocktail di alta qualità a casa tua, chiaramente di grande attualità e rilevanza in un momento di perenne lockdown.

Nan Xiang Xiao Long Bao, uno dei migliori ristoranti cinesi di New York ha da tempo ad esempio iniziato a vendere versioni congelate e semi congelate delle proprie pietanze. Un’idea che probabilmente può già essere accolta come una tendenza e dare definitivamente il via al “ghost Kitchen”, le cucine senza ristoranti di cui anche in Italia si parla da diversi anni.

Ghost Kitchen: il caso MrBeast

Se in Italia il settore della ristorazione ha perso nel 2020 quasi 38 miliardi, negli Stati Uniti è andata ovviamente peggio, con perdite di oltre $ 240 miliardi. Tuttavia, anche in un momento così tremendo c’è stata un’azienda che è andata decisamente contro tendenza e durante la pandemia ha aperto ben 300 ristoranti: MrBeast.

L’idea è tanto rivoluzionaria quanto in apparenza semplice: MrBeast produce hamburger, è diciamo un concorrente di McDonald e BurgerKing, ma ha intuito che in questo momento storico quasi tutte le cucine dei ristoranti sono inutilizzate o lavorano pochissimo. Definito dunque un menu e un procedimento di produzione ha preso accordi con ristoranti locali, al momento come detto poco o sotto utilizzati, delegandone la produzione in cambio di un margine del 30%. Per la consegna si avvale dei servizi di delivering tradizionali come UberEats, DoorDash, PostMates.

È un caso davvero interessante ed emblematico di quanto sin qui detto. MrBeats infatti sembra proprio aver ragionato non tanto partendo dal cliente - è desiderabile un hamburger - ma dal contesto e dai vincoli che la pandemia impone al settore.

Se così tanti ristoranti sono necessariamente chiusi e potrebbero lottare ancora per molto per riaprire e tornare redditizi, c’è un modo per trasformare questa inefficienza in opportunità.
MRBeats utilizza i canali di marketing, in particolare influencer per avvicinarsi alle persone, ma la vera proposta di valore è rivolta ai ristoratori in difficoltà: “vuoi un modo per lavorare e guadagnare anche se devi rimanere chiuso?”

Altrettanto emblematico, come ha osservato Lucy Luo e Matthieu Manzoni analizzando il caso, è il motivo per cui una tale innovazione sia arrivata da un outsider e non da chi già domina il settore, come McDonald o BurgerKing.

Il motivo è lo stesso di tanti altri casi di disruption: dall’ospitalità alla musica alla diffusione e produzione cinematografica e cioè ai vari casi Airbnb, iTunes, Netflix, ecc.: “è difficile per gli operatori storici esplorare concetti radicalmente nuovi perché sono bloccati in un modello di business di successo. La loro intera organizzazione è ottimizzata per ottimizzare quel modello di business di successo e tutto ciò che ha un aspetto diverso viene rifiutato dagli "anticorpi aziendali".

Che altro sta funzionando? Perché sta funzionando? Perché potrebbe funzionare?

Curiosità e apertura sono dunque gli "ingredienti" per giocare nel nuovo mercato e cogliere le opportunità offerte dalla nuova normalità. Per comprendere però quale direzione dare alla propria impresa è necessario innanzitutto avere ben chiaro da che situazione partiamo. 

Come in ogni Sprint il primo passo è mappare la situazione esistente. Parlando di ristorazione ad esempio, per quanto anche noi in questo articolo parliamo genericamente di "ristorante" sono davvero tanti i possibili Modelli di Business. 

Di seguito, per aiutare imprenditori e consulenti di business, ne abbiamo mappato alcuni possibili e ricorrenti.

Partire dal contesto, guardarsi intorno, “pivotare”

Anche se sin qui abbiamo ragionato sul settore della ristorazione, dinamiche e consigli dovrebbero essere presi in considerazione da chiunque oggi sia chiamato a confrontarsi in un mercato completamente nuovo.

Per prima cosa, non soltanto oggi, è necessario che imprenditori e consulenti tengano bene a mente che l'obiettivo principale è fare funzionare le imprese: creare e catturare valore e non vincere gare di originalità.
Come abbiamo detto anche all’inizio di questo articolo, le logiche dei Modelli di Business non sono infinite e spesso differenziazione, originalità, redditività e disruption derivano dall’introdurre elementi nuovi su cose vecchi e/o in modo diverso, attingendo magari a settori completamente diversi e adattandoli e replicandoli in un determinato settore.
In questo momento è però consigliabile guardare più al proprio settore, cercare di capire cosa è fattibile, cosa ha funzionato e comprendere innanzitutto il motivo di successo.
Mai come oggi più che innovazione di prodotti e servizi c’è bisogno di innovare il proprio Modello di Business.

Siamo tutti chiamati a “pivotare” i nostri Modelli di Business, cambiare direzione, strategia, piano d’azione per rispondere al nuovo contesto, rispondere e sopravvivere alla pandemia.

È un termine - pivot - tipico del mondo delle startup ma, anche questo è bene ricordarlo, bisogna considerare che tutte le imprese oggi, anche le più affermate, sono di fatto delle startup, ovvero, delle “organizzazioni temporanee alla ricerca di un modello di business”.

Per farlo in modo efficace, anche lasciandosi ispirare da ciò che accade nel nostro settore, è utile fare attenzione a 3 fattori precisi, come ben espresso di recente anche da Mauro F. Guillén su Harvard Business Review:

- è necessario che il cambio introdotto allinei l'azienda a una o più delle tendenze a lungo termine create o intensificate dalla pandemia, tra cui il lavoro a distanza, le catene di approvvigionamento più brevi, le distanze sociali, un nuovo sentiment dei consumatori e un uso potenziato della tecnologia.
- deve essere un'estensione laterale delle capacità esistenti dell'azienda, rinforzando - non minando - il suo intento strategico.
- i pivot devono offrire un percorso sostenibile verso la redditività, che preservi e accresca il valore del marchio nella mente dei consumatori. La crisi economica innescata dalla pandemia non segna necessariamente la fine di interi settori o aziende. Elimina i modelli di business che non riescono a orientarsi verso la nuova normalità.

Dopo un anno e mezzo di pandemia, di nuovo mercato, di nuovo modo di fare le cose, è ormai chiaro che non torneremo mai più alla "normalità" ma a una nuova "normalità". Farci trovare pronti come imprenditori, o essere catalizzatori del cambiamento in qualità di consulenti, è la cosa migliore che possiamo fare.

Matteo Fusco è fondatore di Beople e docente di Politiche Economiche per le Organizzazioni all’Università Cattolica di Milano. È autore di Business Design per le Pmi e ha curato e revisionato i principali best seller internazionali sul Business Design, trai quali Creare Modelli di Business e Value Proposition Design. La sua missione è aiutare imprenditori e manager a costruire un’innovazione efficiente attraverso processi rapidi, misurabili e replicabili. Puoi seguire Matteo anche su LinkedIn

Davide Cardile lavora da oltre dieci anni nel mondo della comunicazione e del marketing, supportando persone e organizzazioni a raccontare e raccontarsi in un mercato digitale. La sua missione è aiutare a creare storie “buone”, che si diffondano veloci e arrivino lontano. Sino alle persone. In Beople è Communications Strategist. Puoi seguire Davide anche su LinkedIn 

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